INTRODUZIONE di Lorenza Boisi

LANDINA
Che cosa significa: Landina?
Pochi/molti mi hanno posto questa domanda.
Si sono fatte supposizioni, di vario ordine, linguistiche, etimologiche, topografiche…
Landina è una donna, piuttosto il nome di una donna, di molte donne.
Un nome lacustre, un nome insubrico. Un nome di donna di lago, un personaggio minore del centenario Piero.
Il nome per un personaggio mite, vero, amato, un po’ triste e certo fatalista, come tutti noi di lago.
Ma tu sei di Milano!
Questo è certo… ma come un amico dice quasi con malinconia, sono, ora qui e per sempre, innamorata di tutta quest’acqua, tutta questa pietra, tutto questo verde.
Perdutamente.
Il nome del progetto LANDINA è dunque una scelta arbitraria, non tematica, atmosferica, passionale…
Come detto altrove, con Landina, ho voluto coinvolgere amici e “compagni” di pittura per riattivare, bizzarramente e senza pudore contemporaneo alcuno, la pratica della pittura di paesaggio en plein air, pratica quasi completamente relegata alla dimensione amatoriale.
La pittura en plein air, per riunirci e prenderci il tempo di perderci, ripercorrendo sentieri un tempo molto battuti, ad oggi quasi impraticabili.
“… perché i paesi, vogliono essere distinti in tre parti. La prima vuole essere visibile d’appresso. La seconda più ammagliata e la terza che quasi si smarrisca affatto, e perda in infinito.”*
Lungo le rive ventose, sulle alture dei Sacri Monti, arrampicate figure umbratili, sulle cime solatie abbracciando la vista sconfinata di sette vaste acque.
In gruppo, per farci coraggio, in due per parlare sottovoce, da soli per poter sentire un brivido forse dimenticato tra le pagine del secolo lungo.
Noi siamo andati.
Dunque una pittura che sia esperienza.
Esperienza di una Natura che sia egualmente oggetto di desiderio ingenuo ed irresistibile chiamata mistica.
Tutti noi ad un tempo osservatori ed interpreti di una vertigine da spazio aperto e luminoso, Alto davanti alle cose del mondo. Per poter carpire, nonostante lo sguardo cittadino, la correlazione tra lo spazio d’isolamento e l’orizzonte a perdita d’occhio. Per tornare, forse, ad una voce intimista o spingere “attraverso” il sublime fondale, proiettandovi una qualche dimensione letteraria dove l’albero, “pars pro toto eroica della Natura”**, rappresenti, soprattutto, il superamento della condizione finita, il ponte verso il superaddito.

Questa pittura in situ è dunque quasi ordalia per l’artista abitualmente adagiato nel proprio studio. Nella Natura, fuori dallo spazio personale, dove i timori sono spesso addomesticati, siamo colti da una perdita di riferimento, da un trascendere di suggestioni che comportano il pregresso storico, marcate da un tempo denso e da molti, troppi, agenti perturbanti.

Il paesaggio gronda informazioni pur negandoci un accesso diretto.
Tutto in Natura sembra degno di attenzione e d’affezione.
Ecco allora il fastidio dell’incompleta apprensione d’ un Reale troppo grande.

“Una dolce vertigine chiude gli occhi, troppo deboli/Per contenere con lo sguardo l’arco sterminato”. ***

Eppure eccoci a offrire il fianco alla prova di voler essere, per un giorno, egualmente il mezzo ed il risultato dell’inquisire la Natura; quando il farsi sorprendere supera la paura ed, in completa simultaneità temporale discorsiva, si possa dare forma, in variabile senso, all’esperienza.

* Trattato dell’Arte della Pittura.
Giovanni Paolo Lomazzo 1584.
** Il Paesaggio.
Micheal Jackob 2009 ed. Il Mulino
*** Die Alpen
Albrecht von Haller 1729.


Testo di accompagnamento al progetto di Michele Tocca.


“In nessuna età come la nostra, inquieta e variabile, si è sentita più profondamente la misteriosa affinità che lega l’anima umana al paesaggio” 

E’ l’attualità delle parole di Antonio Massara, fondatore del Museo del Paesaggio, a riassumere la necessità di ripensare, oggi, l’esperienza della pittura di paesaggio, in generale, e di quella en plein air, in particolare.
In un tentativo di rilettura di questa esperienza nel presente, alle incertezze prospettate dal Massara, del tutto ravvisabili nella nostra epoca, si aggiungono le difficoltà teoriche, ancor prima che pratiche, del dipingere en plein air.
La presa diretta del paesaggio, al di là di pochissime eccezioni – soprattutto americane – perdurate fino agli anni Settanta, è infatti uno degli aspetti e degli approcci più negletti nel panorama artistico odierno.
Eppure, a ben vedere, proprio all’interno dei più vivaci dibattiti teorico-artistici degli anni ’90, si è promossa l’idea di tornare ad esperire direttamente il reale: dalla corrente di pensiero definita Estetica Relazionale lanciata da N. Borriaud a saggi come “Il Ritorno del reale” di H. Foster.
Evidentemente improntato più sulla sfera estetica, semiologica e sociale che su quella storico-artistica, questo clima non ha rimesso in gioco, neppure simbolicamente, i presupposti teorici dell’en plein air, pur appropriandosi liberamente di diverse prerogative come l’ esperienza diretta e di scambio reciproco.
In effetti, la pittura stessa è stata ostracizzata dai teorici e critici, che avrebbero potuto, invece, ri-considerarla proprio alla luce di questa tradizione.
Nonostante ciò, oltre all’interesse individuale di diversi artisti per il paesaggio, negli ultimi anni, in Italia, si è riscontrata un’attenzione condivisa per questo tipo di esperienza, come dimostrano, per diversi aspetti, l’iniziativa CARS promossa da L. Boisi ad Omegna in Piemonte e l’incontro del 2010 ad Ortona in Abruzzo (En plein air: il necessario rapporto con la realtà, a cura di A. Mosca).
A fronte del pensiero del Massara, della mancanza di attenzione per le questioni sollevate dalla pittura di paesaggio e di questi eventi recenti, il progetto vuole riproporne una riflessione in una realtà, quella del Museo del Paesaggio, unica nel suo genere.
All’interno e in continuità con la storia e i presupposti fondativi del museo, il progetto si pone quale sfida per ogni artista invitato a ripensare cosa significhi esperire, rappresentare e condividere questa sensibilità oggi, con la consapevolezza delle sperimentazioni del genere e, in particolare, quelle sviluppatesi sul Lago Maggiore.

Opening foto di Davide Vergnano